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Negozio fiduciario contestato, una sgradita sorpresa.

Negozio fiduciario contestato, una sgradita sorpresa.

  • Tributi e contenziosi fiscali
La collaborazione volontaria non è sicura al 100%, come dimostrano i tanti casi di "negozio fiduciario" contestati dall'Agenzia delle Entrate. Ecco come chi si è avvalso della procedura per il rientro dei capitali  può difendersi dalle successive pretese del fisco.

Il 2 ottobre 2017 scadeva il termine per inoltrare all'Agenzia delle Entrate le domande di collaborazione volontaria o voluntary disclosure, la procedura nata per permettere ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione. Sei uno dei contribuenti o amministri una delle società che la hanno presentata? Devi sapere che questo strumento per il rientro dei capitali non ti mette automaticamente al riparo da qualunque ulteriore richiesta del fisco. Come è successo al protagonista di questo caso (reale), che ha rischiato di pagare le tasse di successione per l'acquisto di un immobile... che era già suo! Tutto perché l'Agenzia delle Entrate ha contestato la validità di un "negozio fiduciario". Preoccupato? Ti anticipiamo subito che la questione si è risolta positivamente per il nostro contribuente! Vediamo come anche tu puoi evitare di pagare tasse non dovute e sfruttare al meglio le opportunità della collaborazione volontaria. 

Ecco il caso. Anzi, la casa.
Un contribuente, alcuni anni fa, acquista un immobile in Italia attraverso una società fiduciaria svizzera. Successivamente, avendo chiarito la propria posizione fiscale attraverso la voluntary disclosure, decide di intestarsi personalmente l’immobile. Viene quindi stipulato l’atto notarile necessario: la reintestazione fiduciaria, tassata nella misura fissa di 200 euro. Dovrebbe essere tutto concluso, ma arriva la sorpresa: l’Agenzia delle Entrate pretende il pagamento dell’imposta corrispondente a quella delle donazioni, pari all’8% del valore dell’immobile. Costo? Circa 50.000 euro! Il contribuente, assistito dal nostro studio legale, ricorre presso la Commissione Tributaria. Ma cos'è successo? La collaborazione volontaria non avrebbe dovuto risolvere "a monte" tutte le questioni? Come spesso accade, il problema nasce da un'ambiguità normativa. Chiariamo perché il fisco può chiedere l'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni al negozio fiduciario. E come contestare questa pretesa.

Prima di tutto: cos'è il "negozio fiduciario"?
Il negozio fiduciario è un contratto atipico - ossia non delineato e disciplinato dall'ordinamento nei suoi aspetti essenziali - mediante il quale un soggetto, il "fiduciante", trasferisce un diritto ad altro soggetto, detto "fiduciario", per il conseguimento di uno scopo determinato nel contratto stesso. In parole semplici, le società fiduciarie con sede estera sono uno degli strumenti più usati da chi vuole acquisire patrimoni senza comparire direttamente. Ma che succede quando si vuole tornare "visibili" con una pratica di voluntary disclosure?

Quanto costa la fiducia? Dipende.
Nel momento in cui il contribuente vuole diventare l'effettivo intestatario del bene, cioè con il ri-trasferimento del diritto in capo al fiduciario, bisogna verificare quali imposte debba pagare. "Reintestazione fiduciaria" o "imposta di successione o donazione"? In soldoni: poco o tanto? Dipende dall'interpretazione. Perché il trasferimento - o "negozio" - fiduciario, prima di essere una questione di denaro  è una questione giuridica. Ed qui che il contributo di un legale esperto della materia diventa necessario.

Parola alla giurisprudenza. In materia di negozio fiduciario, nella giurisprudenza esistono due scuole di pensiero:
- "fiducia romanistica", secondo cui tale negozio attua un vero e proprio trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario e pertanto deve scontare le imposte in toto, proporzionate al valore del bene;
- "fiducia germanistica", secondo cui ciò che viene trasferito è semplicemente la legittimazione ad esercitare in nome proprio un diritto che però continua a rimanere in capo al fiduciante, e pertanto deve scontare le imposte in misura fissa.
Naturalmente, noi abbiamo cercato di far pendere il piatto della bilancia verso la seconda interpretazione. La nostra tesi era semplice: l’imposta di registro nasce per colpire le manifestazioni di ricchezza che emergono al momento dell'acquisto del bene. Solo le ipotesi riconducibili ad un arricchimento in capo al beneficiario possono essere tassate. Quando l'immobile venne acquistato dalla fiduciaria, vennero corrisposte le imposte di registro in misura piena. La reintestazione fiduciaria non è altro che l'eliminazione di uno schermo che faceva apparire proprietario del bene un soggetto (la fiduciaria) invece che un altro (il contribuente), sebbene quest'ultimo fosse stato e continuasse ad essere l'unico vero proprietario.

Com'è andata a finire? Bene (per il contribuente)!
La Commissione Tributaria ci ha dato ragione, sposando le nostre tesi e annullando l'avviso di accertamento impugnato. Te lo dicevamo, che questo è un post a lieto fine! Ma sarebbe potuta andare diversamente, se il caso non fosse stato seguito in modo approfondito da un legale esperto della materia. Malgrado tutta la buona volontà e la voluntary disclosure del contribuente.

No, la collaborazione volontaria non è un "pacco"!
Usiamo termini non troppo giuridici proprio per sottolineare che, malgrado le possibili "sorprese" dell'Agenzia delle Entrate, le norme per il rientro dei capitali sono una ottima opportunità. Tanto che il nostro studio è abilitato a seguire la pratica della voluntary disclosure in via telematica, sin dalla prima edizione. Ma nel complicato (e costoso) "monopoli" delle norme fiscali e immobiliari, è bene non prendere la carta degli imprevisti. Per questo un consulente legale competente in materia, pronto a rispondere  nel merito, può fare una bella differenza. Una differenza di diverse migliaia di euro!